Frittelle di foglie di carota

 

Se riuscite ad accaparrarvi un bel mazzo di carote con le foglie fresche – cosa non impossibile se fate la spesa al mercatino o da un ortolano che abbia fornitori locali – tagliate queste ultime qualche centimetro sopra la carota e conservatele in acqua tipo mazzo di fiori.

 

Il che, tutto sommato, se non avete tanta voglia di sperimentare, potrebbe essere pure la loro destinazione finale: sono decorative e sul tavolo di cucina in bel vasetto insieme a due margherite fanno la loro figura. Se, invece, le volete mangiare in qualche modo vi consiglio di conservare il mazzetto, con bicchiere, acqua e tutto nello sportello del frigorifero fino al momento di usarle.  

 

Come? Un pestato, per esempio. Dopo aver eliminato solo i gambi più duri, averle lavate e asciugate per bene, potete riunirle nel vaso del mixer con la frutta secca che preferite (dal pinolo all’anacardo, passando per noci e mandorle o pistacchi), aglio, olio, sale e pepe e formaggio tipo pecorino o Parmigiano. Se preferite una crema stessa cosa, solo mettete della feta o formaggio di capra fresco invece dei formaggi stagionati.

 

Per una crema più… esotica potete procedere a lavaggio e asciugatura e poi frullare con tahina, succo di limone, olio, aglio facoltativo e noci. Oppure pomodori secchi, aglio obbligatorio, formaggio pecorino e za’atar. Per una versione estiva usate invece cetriolo – privato della buccia, tagliato a pezzetti e lasciato un po’ a perdere acqua – yogurt, olio e menta fresca.

 

Sicuramente le foglie di carota si possono anche cuocere; per esempio prima sbollentate e poi in una frittata; oppure possono essere aggiunte agli spinaci insieme alla ricotta per farcire i cannelloni.

 

Oppure le potete friggere. Semplici semplici.

 


Per una dozzina di frittelle grandi

 

1 mazzo di foglie di carote

 

120 g circa di farina di grano tenero

1 uovo

2 cucchiai d’olio

acqua q. b. (circa ½ bicchiere)

1 spicchio d’aglio

sale

pepe bianco

 

olio per friggere

 

Mondate e lavate le foglie di carota eliminando i gambi più coriacei. Asciugatele bene con un telo da cucina (non sono delicate, potete strofinarle un pochino, perché servono proprio asciutte). Tritatele grossolanamente con un coltello pesante.

 

In una ciotola setacciate la farina, aggiungete lo spicchio d’aglio grattugiato, salate e pepate, poi unite l’uovo, l’olio e un pochino d’acqua. Mescolate per ottenere una crema liscia e senza grumi e, se serve, aggiungete altra acqua.

 

Gettate le foglie di carota nella pastella, mescolate bene e lasciate riposare mentre scaldate l’olio in una padella larga e dal fondo spesso. Usate l’olio che preferite: io ho usato extravergine di oliva perché in casa ho solo quello (friggo raramente).

 

Prelevate la pastella con le foglie a cucchiate che farete scivolare delicatamente nell’olio. Non più di quattro cucchiaiate per volta. Non appena sarà possibile, girate e rigirate ogni frittella più volte. Man mano che le frittelle sono pronte recuperatele con una schiumarola e sistematele su carta da cucina o altra carta assorbente.

 


Salate le frittelle finite solo se necessario. Servirtele immediatamente.

 

 

 

 

 


Crema di aglio selvatico con fave e formaggio di capra

 

 

È la stagione. Quella. Quella delle erbe selvatiche che crescono a vista d’occhio e riempiono prati, cunette e sottoboschi. 

 

Bisogna saperle raccogliere, certamente, anche se le più comuni sono così facilmente riconoscibili che sbagliarsi è impossibile. La borragine con i suoi fiori blu non si può confondere, l’ortica basta toccarla e non ci si sbaglia più (eh eh eh eh…), la calendula ha fiori squillanti e riconoscibili, le carote selvatiche sono tra le più sfacciate e poi c’è l’aglio selvatico, passando per le bietole.

 

“Aglio selvatico” è una definizione che comprende una certa varietà di piante della famiglia delle liliacee. Qui in Sardegna se ne trovano tre: l’Allium triquetrum, l’Allium roseum e l’Allium subhirsutum. I nomi sono indicativi: il triquetrum ha steli triangolari, il roseum ha bellissimi fiori rosa e il subhirsutum, beh, è peloso (relativamente, eh, non immaginatevi la versione vegetale dello yeti!). 

 

Il triquetrum è sicuramente il più diffuso: si trova o v u n q u e, compreso il mio terrazzino dove l’ho… naturalizzato da alcuni anni, e si usa tutto: foglie, steli fioriti e bulbi, che rientrano in diverse ricette tradizionali.

 

Io in genere raccolgo solo steli e foglie perché mi dispiace estirpare l’intera pianta. E in stagione lo uso dappertutto quasi sempre crudo, perché mi piace il sapore aglioso ma fresco. Poi ci sono le eccezioni. Questa è una minestra cremosa fatta praticamente solo di aglio selvatico. Semplicissima e pronta in meno di mezz’ora.

 

Se non potete mangiare fave, usate i piselli.

 

Per 4 persone

 

1 mazzo di foglie e steli fioriti di allium triquetrum (circa 250 g)

1 grossa patata

1,5 l di brodo vegetale

1 cucchiaio da tè di farina di grano tenero

olio extravergine di oliva

sale

pepe

 

4 manciate di fave fresche già sbucciate

1 spicchio d’aglio

olio extravergine di oliva

formaggio di capra

crostini o fettine di pane

 

 

Mondate e lavate l’aglio selvatico e tagliatelo grossolanamente in pezzi.

 

Mondate, sbucciate e lavate la patata e grattugiatela con una grattugia a fori larghi.

 

Scaldate il brodo vegetale.

 

In una pentola per minestre scaldate un po’ di olio; non appena freme gettatevi la patata grattugiata e mescolate, unite l’aglio e fatelo appassire per un paio di muniti. Cospargete ora di farina e mescolate bene. Salate leggermente.

 

Ricoprite di brodo e fate cuocere per circa 15 minuti.

 

Nel frattempo in una padella scaldate dell’olio con lo spicchio d’aglio a sua volta grattugiato. Unite le fave e copritele a filo con acqua. Chiudete con un coperchio e fate stufare dolcemente fino a consumare tutta l’acqua. Dopo di che alzate la fiamma, salate leggermente e fate saltare per qualche minuto fino a che le fave non saranno ben colorite.

 

Se li usate, abbrustolite nel frattempo i crostini o le fettine di pane nel forno o nel tostapane e sbriciolate il formaggio di capra.

 

Lavorate la minestra con il frullino a immersione per ottenere una crema. Io l’ho lasciata un po’ rustica perché è una consistenza che preferisco, ma se volete potete insistere un po’ di più e ottenere una crema liscissssima. Regolate di sale e pepe.

 


Versatela nei piatti. Disponete in ognuno una fetta di pane abbrustolito o alcuni crostini, aggiungete le fave e, per ultimo il formaggio di capra. Se vi sono avanzati, tagliuzzate con le forbici qualche stelo di aglio selvatico sopra i piatti come decorazione. Altrimenti usate qualche fogliolina di menta.

 

 

 

Cannellini, asparagi e pane zichi in brodo rosa speziato

 

E c’entra sempre la barbabietola. La parte aerea stavolta, non il tubero. I gambi delle foglie per la precisione, quelli che hanno quel colore fantastico che vorrei un cappotto (ce l’ho, a dire il vero, ma non lo metto da vent’anni…) e un maglione caldo e una gonna e dei cuscini di velluto e un pouf per sollevare le gambe esattamente di quella tonalità.

 

Cosa fare dei gambi? Mangiarli in insalata o cuocerli, o farne una frittata o una torta salata; le soluzioni per non sprecarli sono tante e tutte sperimentate. Stavolta ho voluto farci un brodo. Che, ispirata dal colore così poco “da brodo”, si è arricchito di aromi vagamente esotici.

 

Per accompagnarlo dei fagioli bianchi, che hanno quel giusto sapore neutro e, soprattutto, sono bianchi. E, per contrasto, punte di asparago selvatico, che è di stagione e ci sta benissimo.

 

Ho immaginato questo piatto servito all’aperto, con una bella tovaglia chiara e con un bel panorama davanti, in una bella giornata di sole. Invece ha piovuto. Pazienza.

 


Per 4 persone

 

Per il brodo

 

Gambi delle foglie di una grossa barbabietola

½ carota

1 gambo di sedano

1 spicchio d’aglio

3 centimetri circa di radice fresca di zenzero

6 bacche di pepe di Sichuan

6 bacche di pepe di Tasmania

alcune bacche di pepe rosa

 

sale

olio extravergine di oliva

 

Per accompagnare:

 

8 cucchiai di fagioli cannellini già cotti

8 cucchiai di pane zichi rotto in piccoli pezzi

16 o più punte di asparagi selvatici

sale

olio extravergine di oliva

 

Il brodo va preparato almeno un giorno in anticipo. Mondate e lavate i gambi, la carota, il sedano, l’aglio. Fate sobbollire circa 1,5 l d’acqua poi gettatevi tutti gli ingredienti. Fate cuocere per almeno 20 minuti, poi regolate di sale e aggiungete un pochino d’olio. Allontanate dal fuoco, aggiungete lo zenzero e i pepi e chiudete con un coperchio. Lasciare raffreddare completamente e poi proseguite “l’infusione” per almeno 6 ore. Filtrate e conservate in frigorifero per tutta la notte. Gambi, sedano e carote li potete mangiare conditi con olio e un aceto leggero.

 

Nel frattempo dovete mettere a bagno i cannellini secchi per almeno 12 ore; poi lessateli “al dente” in sola acqua. Se invece usate quelli già pronti saltate il passaggio, ma assicuratevi che siano di altissima qualità.

 


Ora riscaldate il brodo rosa; non appena freme aggiungete i fagioli, regolate – assaggiando – di sale, pepe, olio. Aggiungete gli asparagi e cuocete mezzo minuto. Unite il pane zichi spezzato in piccoli pezzi (a misura di cucchiaio). Cuocete un paio di minuti, non di più.

 

Distribuite nei piatti e servite immediatamente.

 

 


Ravioli di ricotta mustia, pancetta e asparagi selvatici

 

Novantacinque, anche novantotto, volte su cento qui in Sardegna i ravioli – rigorosamente di ricotta, erbe o formaggio, mai di carne – vi verranno serviti con sugo di pomodoro e ottimo formaggio. Anche quelli dolci (chiamati bruglioni, pulicioni, o puligioni) tipici della Gallura.

 

Saranno per tradizione quadrati, con l’eccezione eccezionale dei culurgiones, divenuti ormai internazionalmente famosi, e la sfoglia, rigorosamente di sola semola di grano duro e acqua, sarà piuttosto spessa. Casa, trattoria, ristorante, agriturismo. Insomma, la tradizione – o, meglio, l’abitudine – regna sovrana.

 

C’è poi quel due per cento delle volte in cui ci si imbatte in qualcosa di più avventuroso. E a noi va bene così: ci gustiamo la tradizione e ci godiamo l’avventura, perché c’è spazio e voglia per tutto.

 

Questi ravioletti qui, che non ho fatto io, ma ho comprato in un ottimo pastificio artigianale – ci sono mamma e figlia che si danno un gran daffare con encomiabile passione – non lontano da casa, sono ripieni di ricotta mustia, ovvero di ricotta ovina stagionata tramite affumicatura. Una delizia che, nel caldo abbraccio di un raviolo, è saporitissima e appagante.

 

Il condimento, che mi piace far rientrare nel due per cento, invece è farina del mio sacco, anche se non particolarmente originale. Nella sua semplicità si sposa benissimo con la ricotta mustia ed è decisamente di stagione. Protagonisti gli asparagi selvatici (ma vanno bene anche quelli coltivati; usatene meno). 

 

 

 

Per 4 persone:

 

400 – 500 g di ravioli di ricotta mustia

20 – 25 asparagi selvatici

100 g circa di pecorino non troppo stagionato

100 g circa di pancetta tesa

2 grossi spicchi di aglio

olio extravergine di oliva

1 piccola noce di burro

aglio selvatico – qualche stelo

vino bianco secco

sale

 

Mondate e lavate gli asparagi. Togliete tutte le punte e tenetele da parte, affettate tutti i gambi a fettine sottili.

 

Tagliate la pancetta a striscioline sottili.

 

Mondate e affettate l’aglio il più sottile possibile.

 

 

Mondate, lavate e tagliate gli steli d’aglio selvatico con le forbici.

 

Scaldate una padella bassa e larga, gettatevi la pancetta e fatela abbrustolire: il grasso deve diventare traslucido e deve sciogliersi e le striscioline devono diventare belle croccanti. Recuperatele con una schiumarola lasciando tutto il grasso nella padella e adagiatele su un foglio di carta da cucina.

 

Nella medesima padella aggiungete un po’ d’olio e il burro, fate sciogliere poi unite le punte degli asparagi e la metà dei gambi, bagnate con un pochino di vino bianco, fate evaporare, lasciate appassire, poi aggiungete un po’ di acqua calda e fate stufare dolcemente.

 

Mettete a bollire l’acqua per lessare i ravioli. Non appena giunge a bollore fatevi cuocere l’altra metà dei gambi di asparagi. Scolateli e sistemateli direttamente nel vaso del mixer. Aggiungete il formaggio e un filo d’olio. Azionate e scatti per ottenere una crema omogenea aggiungendo, se serve, un pochino di acqua di cottura.

 

Lessate ora i ravioli. Scolateli al dente e passateli direttamente nella padella, aggiungete la crema di asparagi e pecorino, mescolate.

 


Dividete i ravioli tra i piatti, cospargete con la pancetta croccante e aggiungete a pioggia l’aglio selvatico. Servite immediatamente.  

 

Va da sé che questo condimento si può applicare con soddisfazione anche ad altri tipi di pasta, non necessariamente ripiena.

 

 

 


Crema di barbabietola e cannellini

 

Dopo aver raccolto i commenti quasi inorriditi di alcune persone che ritengono che mangiare le barbabietole crude sia impossibile (se non barbaro), mi trovo costretta a dimostrare il contrario con una serie di ricette. Scherzosamente, eh, perché prendermi troppo sul serio è al di là delle mie forze.

 

Intanto: cento grammi di barbabietole – crude – hanno solo 19 calorie, il che credo sia davvero poco; contengono il 23% di proteine e 77% di carboidrati. Questo con quantità notevoli di sodio, calcio, fosforo, tiamina, niacina, vitamina C e soprattutto potassio. Poco invece il ferro, ma antociani (eccerto! con quel colore!) e flavonoidi quanti ne volete. Le barbabietole sono definite “remineralizzanti e ricostituenti”, depurative e digestive. Poiché danno una bella carica ai globuli rossi, sono raccomandate ai soggetti anemici. Sui siti seri viene caldamente consigliato di consumarle crude, evitando le cotture prolungate.

 

Quindi CRUDE per trarre tutti i benefici possibili dalla buona pratica dell’eat your veggies. Ma ovviamente anche cotte, in moltissimi modi, se vi piacciono così. Anzi, a pagina 50 dello strepitoso Flavour di Yotam Ottolenghi c’è una ricetta fantastica per preparare delle barbabietole STRACOTTE, che vi consiglio.

 

Ora, torniamo a bomba e passiamo a uno dei tanti possibili modi di fare scorpacciata di barbabietole crude: una crema con fagioli cannellini che si fa da sola.

 

200 g di barbabietola

100 g di fagioli cannellini cotti

50 g di feta

una manciata di noci sgusciate

1 cucchiaio di semi di sesamo

1 spicchio d’aglio

olio extravergine di oliva

sale

pepe

 


Se avete acquistato dei cannellini in scatola già cotti spero li abbiate scelti di altissima qualità; scolateli accuratamente dal liquido di conservazione. Altrimenti mettete a bagno i fagioli la sera prima e poi, all’ora di pranzo, lessateli in sola acqua fino a che non saranno teneri, scolateli e teneteli da parte.

 

Fate tostare i semi di sesamo in una padellina antiaderente muovendoli continuamente fino a che non ne sentirete il profumo. Attenzione che bruciarli è un attimo. Fateli raffreddare perfettamente.

 

Pelate la barbabietola e tagliatela a dadini. Sbriciolate la feta, sbucciate e mondate lo spicchio d’aglio.

 

Riunite nel vaso del mixer tutti gli ingredienti compreso l’olio (abbondante) e un pizzico di sale e pepe. Azionate a scatti fino a ottenere una crema. Assaggiate e regolate di olio e sale solo se serve.

 


Servite con crostini di pane di qualsiasi genere. Se avanza conservate in frigorifero in un contenitore ermetico, poiché tende a ossidarsi. Potete sostituire la feta, se non vi piace o non la trovate, con un formaggio di capra semistagionato. Attenzione al sale!


Insalata di riso scomposta

 

Non ho alcuna simpatia per le insalate di riso. L’ho detto. Ne ho preparate forse due in tutta la mia vita di cuoca casalinga e senza troppo entusiasmo. Un po’ perché ho, lo ammetto, delle resistenze nei confronti del riso in particolare e molto perché pasta e riso freddi in generale non mi piacciono proprio. Saranno ideali per l’estate, non dico di no, ma …

 

Quindi ecco qui l’eccezione: un’insalata di riso scomposta. Ovvero gli ingredienti sono lì nel piatto e sta a chi mangia decidere se farne un’insalata condendo tutto insieme o mangiare una cosa per volta, magari ispirato dal colore o dalle diverse consistenze. E, visto che il periodo è quello delle barbabietole e avevo promesso di pubblicare qualche ricetta per mangiarle felicemente crude, ci sono anche qui.

 


Per 4 persone:

 

240 g circa di riso

1 barbabietola grande o due piccole

1 grossa mela dal sapore fresco e acidulo

2 fette di formaggio pecorino giovane

2 cipollotti freschissimi

qualche stelo di aglio selvatico

qualche fiore di calendula

olio extravergine di oliva

aceto di mele

sale

pepe

succo di limone

 

Mondate la barbabietola e riducetela a dadini di non più di 2 centimetri di lato. Riunite i dadini in una ciotola e conditeli con abbondante olio, sale, pepe bianco, aceto di mele. Fate riposare per almeno mezz’ora.

 

Intanto lessate il riso in acqua leggermente salata, scolatelo bene, conditelo con un filo d’olio e fatelo raffreddare allargandolo su un grande piatto. Se usate un riso tipo Carnaroli o Vialone o simili ci vorranno 15, 18 minuti. Ma potete scegliere un riso integrale, un Basmati o anche un Venere. In quel caso regolatevi per i tempi secondo quanto indicato sulla confezione.  

 

Mondate, affettate fini e lavate i cipollotti.

 

Mondate e sbucciate la mela. Affettatela fine con una mandolina bagnando via via le fette con un po’ di succo di limone.

 

Lavate e tagliate fini anche gli steli di aglio selvatico con le forbici.

 

Riducete il formaggio a dadini della stessa misura di quelli di barbabietola.

 

Disponete equamente gli ingredienti nei piatti come vedete in foto, o come vi detta la fantasia. Facendolo, scolate bene la barbabietola e lasciate tutto il condimento nella ciotola.

 

Aggiungete nella ciotola ancora un po’ d’olio e di aceto di mele, mescolate energicamente, assaggiate ed eventualmente regolate di sale, poi distribuite il condimento sul riso e sulle verdure. Darà un bel colore rosa scuro. Fate insaporire qualche minuto prima di servire.

 

 


Minestra di barbabietole, spinaci e ceci

 

Quando in famiglia mi vedono girare con Jerusalem, il tomo (circa 320 pagine) di Yotam Ottolenghi e Sami Tamimi, sanno che a breve la mia cucina si riempirà di profumi di spezie e di sapori nuovi. La cosa accade spesso: quel libro l’ho praticamente consumato portandomelo in giro per la casa dal divano al banco della cucina, dal letto alla terrazza e imbottendolo di segnalibri, nastrini e Post-it. In realtà non so dire se ho mai riprodotto una ricetta esattissimamente come viene descritta nel libro, ma l’ispirazione che ogni volta riesce a trasmettermi la sua lettura è impagabile. Questa è una di quelle volte. Nel libro non c’è specificamente una minestra di barbabietola, spinaci e ceci, ma a me è venuta voglia di farla. A modo mio.

 

È una preparazione semplice e, se usate ceci già cotti, è anche veloce, ma il sapore e il colore sono assolutamente esplosivi. Se poi, come ho fatto io – che lo produco in casa ogni volta che posso – aggiungete, per completare, un po’ di labneh* con la sua cremosa acidità, avrete un piatto davvero soddisfacente, che avrete voglia di rifare. 

 


Per 4 persone:

 

500 g circa di spinaci freschi novelli

1,5 l circa di brodo vegetale (o anche semplice acqua)

250 g circa di barbabietola fresca

200 g circa di ceci già cotti

4 grossi spicchi d’aglio

olio extravergine di oliva

sale

pepe

2 cucchiai di succo di limone

1 cucchiaino da tè di baharat**

 

4 cucchiai di labneh condito con poco sale e poco olio

 

 

Lessate “al dente” i ceci in sola acqua non salata dopo averli lasciati in ammollo per almeno 36 ore. Ci vorrà poco meno di un’ora. Scolateli e sciacquateli. Naturalmente, visto l’impegno, in questi casi è meglio cuocerne in abbondanza e usare quelli in eccesso per altre preparazioni (un hummus non lo vuoi fare? o una bella insalata con cavolo nero e arance?). Altrimenti usate ceci già cotti in vasetto, ma che siano di ottima qualità: scolateli e sciacquateli.

 

Mondate gli spinaci – eliminando i gambi più lunghi, che però possono essere conservati e riutilizzati, per esempio nel ripieno di una torta salata o dei ravioli – e lavateli accuratamente. Sapete meglio di me quanto sia necessario lavarli più volte; spiace usare tutta quell’acqua ma ahimè si deve. Se possibile usate una vaschetta e riciclate l’acqua per innaffiare le piante e sciacquateli solo alla fine sotto l’acqua corrente. Scolateli.

 

Mondate e riducete in dadini la barbabietola.

 

Mondate e affettate finemente l’aglio.

 

Scaldate il brodo già pronto.

 

In una pentola per minestre scaldate abbondante olio, gettatevi l’aglio e fatelo rosolare. Aggiungete i dadini di barbabietola, mescolate per far insaporire. Bagnate con abbondante brodo e iniziate la cottura.

 


Dopo circa 20 minuti aggiungete i ceci, mescolate e aggiungete un pochino di sale.

 

Dopo altri 10 minuti potete aggiungere gli spinaci e altro brodo. Non appena gli spinaci – che in un primo momento saranno voluminosissimi, ma si ridurranno in fretta – sono amalgamati, assaggiate e regolate di sale.

 

Cuocete 5 minuti, poi allontanate dal fuoco e aggiungete il succo di limone, il baharat e, se occorre, ancora un pochino d’olio e un pochino di pepe.

 

Distribuite la minestra nei piatti e completate ognuno con un cucchiaio di labneh che avrete lavorato brevemente con olio e sale. Se volete, aggiungete ancora un soffio di baharat. Potete servire questa minestra anche tiepida.

 

 

·*Il labneh, o labna è un il “formaggio” di yogurt comune a tutto il Levante. Per prepararlo in casa basta procurarsi del buon yogurt greco (o tipo greco, ovvero intero e denso), oppure yogurt fatto in casa, e condirlo con un pizzico di sale: circa 5 grammi per 500 grammi di yogurt. Dopo averlo sistemato in un telo bianco di cotone o lino – oppure in un colino non metallico foderato con garza di cotone –  bisogna lasciarlo sgocciolare del proprio siero. Se possibile meglio completare l’operazione a temperatura ambiente, ma se fa molto caldo è consigliabile tenerlo in frigorifero. Dopo 24 ore il labneh è pronto. Ma dopo 48 è ancora meglio.

 

 

**Il baharat è una miscela di spezie che, in genere, viene definita “molto piccante”. Non necessariamente: come accade per tutte le miscele di spezie ne esistono moltissime versioni. Il baharat “standard” comprende noce moscata, pepe, chiodi di garofano, cannella, cardamomo, paprica, peperoncino, aglio e cumino con piccole varianti. L’origine di questa miscela – il cui nome, baharat (anche nella versione biharat), in arabo significa semplicemente spezie – viene collocata in Persia (Iran), ma è usata più o meno in tutti i Paesi arabi e nel Magreb. Più usata per le carni, secondo me (semplice opinione personale) dà invece il meglio di sé con le verdure.